L’eutanasia del Meazza è contenuta nel dossier che le due squadre hanno presentato al Comune. Un lavoro immenso che partirà il giorno dopo la costruzione del nuovo stadio. I primi calcoli parlano di 125 mila metri cubi di calcestruzzo, 8.800 tonnellate di ferro delle armature, altre 20 mila tonnellate delle copertura metallica. Tutto materiale da portare in discarica. Utilizzando camion con capienza di 30 tonnellate ci vorranno tra i 10.500 e gli 11.300 viaggi.
Si parte con quello che nel gergo tecnico viene chiamato soft strip out, ossia la rimozione di tutti gli elementi non strutturali: gli impianti, ma anche le porte i controsoffitti, gli elementi di arredo, le pareti divisorie. È la pelle superficiale dello stadio. L’attacco allo scheletro è il passaggio successivo, ma prima di«decostruire» (è il titolo del capitolo del dossier dedicato alla demolizione, più adatto a un libro di filosofia che a uno studio di fattibilità) la storia del calcio italiano bisogna mettere in atto tutti quegli accorgimenti fondamentali per limitare le emissioni delle polveri e il rumore che la demolizione di uno stadio comporta. Si procederà con le lance nebulizzatrici capaci di ridurre fino al 90 per cento l’abbattimento delle polveri. Se non basterà si useranno i Cannon fog, veri e propri cannoni che sparano acqua e aria. Per il rumore verranno utilizzati dei pannelli fonoassorbenti. Un escavatore di grossa taglia (400 quintali) emette circa 90 decibel nelle immediate vicinanze dei lavori che scendono a 56 a distanza i cento metri. Qualora il rumore superasse i limiti verrà richiesta una deroga al Comune.
La decostruzione è un viaggio a ritroso nel tempo perché il primo compito della flotta di macchine con frantumatore sarà quello di attaccare il primo anello realizzato tra il 1925 e il 1926. Su quegli spalti e su quel campo di proprietà del Milan, il 19 settembre 1926, i tifosi videro il primo derby targato San Siro. Quattro tribune indipendenti per una capienza di 35-40mila posti. Dieci anni dopo, il primo ampliamento e il passaggio di proprietà al Comune. L’assalto dei tifosi per la semifinale dei Campionati del mondo del 1934 tra Italia e Austria convinse tutti della necessità di ampliare la capienza a centomila persone. Si parte da qui, dal primo anello.
Per velocizzare i tempi verranno messe in campo molte macchine frantumatrici. Le macerie verranno accumulate alla base del secondo anello per permettere alle macchine di posizionarsi a una quota superiore. Uno scatto di altri dieci anni. Siamo nel 1954. L’Inter aveva abbandonato l’Arena nella stagione 1947-48 optando per San Siro. Nel 1954 si decide di procedere con un altro ampliamento. Viene realizzato il secondo anello. Fu aggiunta una struttura elicoidale esterna su cui vennero realizzate le nuove gradinate. Nasce il settore dei «popolari». E questa sarà l’ulteriore fase di demolizione. Verrà realizzata con macchine a braccio lungo. Lo stadio si spoglia: restano in piedi le 11 torri (4 principali, 7 secondarie) che supportano la copertura e le gradinate del terzo anello. Bisogna aspettare il 1987 e Italia 90 per vedere il terzo anello e la copertura di tutti i posti a sedere.
Per sorreggere l’anello vengono costruite le torri, quattro di queste sostengono le quattro travi di copertura. Quelle sul braccio corto pesano 1.600 tonnellate. Difficile smontarle in blocco. La scelta è quella di tagliarle a pezzi per favorirne lo smontaggio avendole prima puntellate. A quel punto si passerà alla demolizione delle gradinate del terzo anello e al taglio delle travi. Tocca poi alle torri secondarie che verranno smontate grazie a macchine escavatrici a braccio lungo. Cosa resta a questo punto? Le quattro grandi torri che reggono la copertura dello stadio che da sola pesa 20 mila tonnellate. Impensabile smontarle a pezzi. La soluzione sarà quella di calare a terra l’intero graticcio grazie a un sistema idraulico che lo porterà dai 50 metri di altezza a 5. A quel punto entrano in azione escavatori dotati di cesoie che come tanti piranha faranno a pezzi il metallo.
Ora non resta che l’ultimo atto. Demolire le fondazioni. Serviranno dei macchinari dotati di grossi «martelloni» per «picchiare» i dadi di fondazione. Come una campana quel colpo di «martellone» segnerà la fine di San Siro che per quasi un secolo ha raccontato la bellezza del calcio ai tifosi di tutto il mondo.
18/09/2019 Corriere Milano
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