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    SALVIAMO SAN SIRO

    Per dire "No" all’ abbattimento e alla cementificazione del quartiere, ma "SI" alla sua eventuale ristrutturazione che comprenda la riqualificazione dell' area con spazi dedicati ai giovani, allo sport, al verde comune e che allo stesso tempo ne venga mantenuta l' identità
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San Siro Delibera Vendita San Siro e Aree Adiacenti ai Fondi Redbird  e Oaktree




Un approfondimento rivolto a tutti i cittadini e ai Consiglieri di Palazzo Marino


I
l 25 settembre il Consiglio comunale di Milano sarà chiamato a discutere e votare la delibera sulla vendita dello Stadio di San Siro.
Una scelta storica, che non può essere ridotta a un semplice atto politico. Si tratta infatti di una decisione carica di implicazioni giuridiche, ambientali ed economiche, che peseranno sul futuro della città e sulla vostra responsabilità di amministratori.

Perché San Siro non è un bene come gli altri

Esiste un atto fondamentale che troppo spesso viene dimenticato: la delibera di Giunta del 16 giugno 2000, con la quale San Siro è stato dichiarato bene del patrimonio indisponibile del Comune, con una chiara destinazione pubblica: permettere alla cittadinanza di partecipare alle grandi manifestazioni calcistiche.

Secondo il Codice Civile, un bene appartenente al patrimonio indisponibile non può essere venduto se resta legato a una funzione pubblica. Dunque:

  • prima di qualsiasi cessione, occorrerebbe modificare formalmente quella delibera;
  • il Consiglio dovrebbe motivare esplicitamente che San Siro non ha più funzione pubblica;
  • solo così il bene potrebbe passare al patrimonio disponibile ed essere eventualmente alienato.

In mancanza di questo passaggio preliminare, la delibera di vendita rischia di essere impugnabile davanti al TAR o al Consiglio di Stato, esponendo la città a lunghi contenziosi e a una paralisi amministrativa.

 

L’ipotesi demolizione e i vincoli aperti

Oltre al nodo giuridico, restano questioni tutt’altro che marginali:

  1. interpretazione del vincolo dei 70 anni;
  2. tutela delle targhe considerate archivio pubblico;
  3. possibile riconoscimento del vincolo storico-relazionale sull’intero impianto;
  4. valutazioni ambientali e tecniche relative a una demolizione di queste dimensioni, con gestione di rifiuti speciali e impatti sulla mobilità.

Sono ostacoli reali e tuttora irrisolti.

 

Le Criticità della delibera


1. Una delibera immodificabile

Durante la Commissione del 19 settembre, la vi-cesindaco Scavuzzo ha dichiarato che il testo è “immodificabile”: gli emendamenti saranno automaticamente respinti. In sostanza, al Consiglio viene chiesto di ratificare una decisione già blindata altrove, senza margini di miglioramento né possibilità di tutela per la città.

2. La clausola di Earn Out

Prevista per limitare eventuali speculazioni, questa clausola appare facilmente eludibile: i fondi potrebbero cambiare assetti societari senza cedere formalmente l’area, aggirando così il vincolo e trattenendo i futuri diritti edificatori. Tutto questo senza che siano resi noti i titolari effettivi dei fondi che possiedono Milan e Inter: una mancanza grave di trasparenza, denunciata da esperti e organi di stampa.

3. La neutralità carbonica in 50 anni

La delibera prevede l’obiettivo di neutralità carbonica entro il 2075. Una prospettiva che stride con gli impegni del Piano Aria e Clima del Comune, molto più ambiziosi e ravvicinati. La demolizione stessa del Meazza rappresenterebbe un impatto ambientale enorme. La misura appare più come un alibi formale che come una reale politica di sostenibilità.

4. Un voto al buio

Ad oggi mancano ancora informazioni decisive: progetto del nuovo stadio, assetto urbanistico dell’area, garanzie sugli acquirenti.
Né i consiglieri, né i cittadini hanno avuto accesso a dati completi e trasparenti.

Votare in queste condizioni significa assumersi una responsabilità al buio, rinunciando al ruolo di rappresentanza e di garanzia che il vostro mandato vi assegna.

5. L’ultimatum dei fondi

In queste ore, le dichiarazioni dei rappresentanti di Inter e Milan si sono tradotte in un vero e proprio ultimatum: “o accettate la nostra proposta, o ce ne andiamo”.
Un ricatto che non dovrebbe trovare cittadinanza in un’aula consiliare. Quando un bene pubblico viene ceduto sotto minaccia, senza alternative esplorate né dibattito aperto, non siamo di fronte a una scelta libera, ma a una resa politica.

 

Perché votare NO

  • perché la delibera presenta profili di illegittimità;
  • perché il testo è blindato e sottrae al Consiglio il suo potere di indirizzo;
  • perché mancano trasparenza e garanzie sui reali beneficiari;
  • perché le promesse ambientali sono deboli e contraddittorie;
  • perché non si può svendere un bene simbolo della città in risposta a un ultimatum.

Un voto contrario non è un gesto di ostilità verso le squadre, ma un atto di responsabilità verso Milano e i suoi cittadini.
Domani potrebbe essere troppo tardi: le conseguenze di una decisione affrettata rischiano di pesare sulla città per decenni.

Di chi è la responsabilità di questa situazione immobiliare a Milano

Non possiamo limitare le responsabilità solo alla Giunta comunale o al Sindaco Beppe Sala.
Certo, è noto che in una recente intervista a Repubblica lo stesso Sala si sia definito “un po’ comandino”, ammettendo implicitamente una gestione accentratore delle decisioni. Ma questa vicenda non nasce soltanto da un atteggiamento personale.

La responsabilità politica ricade anche su chi avrebbe dovuto esercitare un ruolo di controllo e indirizzo: il Partito Democratico milanese. Per un partito che si richiama ai valori della sinistra, il compito primario dovrebbe essere quello di difendere il bene comune, non di assecondare gli interessi dei grandi operatori immobiliari e dei fondi finanziari che controllano Inter e Milan.

Invece, in questa partita il PD Milano ha scelto il silenzio o, peggio, la complicità. Non ha esercitato quella vigilanza politica che spetta a una forza di governo radicata nella città, rinunciando al confronto aperto e alla costruzione di un dibattito pubblico.
Così, una questione che riguarda il destino di un simbolo della città come San Siro e di un’area strategica per Milano è stata lasciata nelle mani dei fondi internazionali, degli advisor finanziari e di logiche speculative.

È doveroso ribadirlo: la politica non può ridursi a ratificare decisioni prese altrove. Se oggi ci troviamo davanti a una delibera blindata, fragile sul piano giuridico e sbilanciata a favore degli interessi privati, è perché la responsabilità è stata condivisa e diffusa.
Non solo di chi governa Palazzo Marino, ma anche di chi, nel partito di maggioranza relativa, avrebbe dovuto vigilare e invece ha scelto di abbassare lo sguardo.

 

 

 

 

 

 

Milano 22 Settembre 2025

 

 

 

 

 

 

 

La Redazione

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