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    SALVIAMO SAN SIRO

    Per dire "No" all’ abbattimento e alla cementificazione del quartiere, ma "SI" alla sua eventuale ristrutturazione che comprenda la riqualificazione dell' area con spazi dedicati ai giovani, allo sport, al verde comune e che allo stesso tempo ne venga mantenuta l' identità
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San Siro, la delibera della vergogna: così Sala ha forzato il voto per vendere lo stadio ai fondi privati

delibera vendita San Siro ai fondi proprietari di Inter e Milan

 

La mattina del 30 settembre 2025 resterà una data simbolo nella storia amministrativa milanese.
Con un’operazione condotta ai limiti della trasparenza istituzionale, la Giunta guidata da Beppe Sala è riuscita a far approvare – in una seduta fiume conclusa alle prime ore del mattino – la delibera di vendita dello stadio di San Siro e dei terreni comunali adiacenti ai fondi immobiliari proprietari di Inter e Milan.

Un voto pilotato con un’assenza “strategica”

La votazione, secondo quanto riferito da diversi consiglieri d’opposizione, è stata preceduta da una manovra che definire “di palazzo” è poco: tre consiglieri di Forza Italia – forza nominalmente di opposizione – si sono allontanati dall’aula poco prima del voto, permettendo alla maggioranza di Sala di raggiungere il numero legale necessario all’approvazione.
Una coincidenza che molti in aula hanno definito un accordo preconfezionato, volto a garantire l’esito favorevole della delibera nonostante le spaccature interne e il malcontento crescente in città.

La sentenza del TAR “tenuta nascosta”

Ma l’aspetto più controverso riguarda ciò che è avvenuto pochi giorni prima del voto.
Il 24 settembre, infatti, il TAR della Lombardia ha annullato la delibera del Comune di San Donato Milanese, che consentiva la costruzione del nuovo stadio del Milan nell’area di via Monticello.
Una sentenza che – secondo fonti giuridiche – era già stata notificata alle parti interessate, cioè ai legali del Milan e ai fondi immobiliari coinvolti.

Nonostante ciò, né il Sindaco Sala né la sua vice Anna Scavuzzo hanno ritenuto opportuno informare il Consiglio comunale di una decisione che smentiva l’intera narrazione usata per giustificare la vendita di San Siro: quella secondo cui, se non si fosse approvata subito la delibera, le squadre si sarebbero trasferite altrove, lasciando Milano con uno stadio vuoto e un’area abbandonata.

In realtà, dopo la decisione del TAR, il progetto alternativo di San Donato era giuridicamente bloccato, e nessuna delle due società avrebbe potuto procedere a breve con la costruzione di un nuovo impianto.
Ciò significa che il Comune non era affatto sotto pressione e avrebbe potuto – anzi dovuto – riaprire la trattativa, rinegoziare i termini e pretendere maggiori garanzie pubbliche.
Non lo ha fatto.

Un comportamento ai limiti della buona fede

Due sono le ipotesi, entrambe inquietanti.
O il Comune ignorava la sentenza, e in tal caso si tratterebbe di una grave negligenza amministrativa, considerata la rilevanza dell’atto e la sua pubblicazione tramite il portale del processo amministrativo telematico.
Oppure qualcuno era perfettamente informato, ma ha scelto di tenere nascosta la notizia per non compromettere la corsa all’approvazione della delibera.
In questo secondo caso, si configurerebbe un comportamento in violazione del principio di buona fede nelle trattative (art. 1337 del Codice Civile) e una lesione del diritto all’informazione dei consiglieri comunali.

Come hanno votato i consiglieri

Come hanno votato i consiglieri

Un’operazione sbilanciata a favore dei privati

Molti osservatori sottolineano che la trattativa con Inter e Milan sia stata condotta fin dall’inizio in modo sbilanciato a favore dei fondi immobiliari che controllano le due società.
L’area di San Siro – oltre 150 mila metri quadrati di suolo pubblico – verrà ceduta a un prezzo che molti tecnici giudicano inferiore al valore reale, in cambio di generiche promesse di “rigenerazione urbana” e di investimenti che restano in gran parte nelle mani dei privati.
Il Comune, nel frattempo, rinuncia a un bene storico e identitario, senza garanzie su destinazioni d’uso, accessibilità pubblica o vincoli culturali.

Due stadi e una città ostaggio della speculazione

Come se non bastasse, nelle ultime ore anche il Presidente del Senato Ignazio La Russa ha proposto di mantenere in piedi San Siro accanto al nuovo stadio, destinandolo a calcio minore e concerti.
Un’ipotesi che renderebbe l’area un epicentro di traffico, inquinamento e cementificazione, trasformando un quartiere residenziale in una zona a saturazione permanente.

Conclusione: la città merita chiarezza

La delibera del 30 settembre rappresenta non solo una scelta politica contestabile, ma anche un precedente istituzionale pericoloso, in cui le regole del confronto democratico sono state piegate agli interessi dei poteri forti.
La vicenda di San Siro non è chiusa: la sentenza del TAR, le modalità del voto e la gestione opaca dell’informazione impongono un approfondimento urgente da parte della stampa e degli organi di controllo.

Per ora, resta una certezza:
Milano ha perso un pezzo della sua credibilità pubblica, e il Sindaco Sala dovrà spiegare ai cittadini perché la città è stata esclusa da una delle decisioni più importanti della sua storia recente.

 

 

 

 

 

 

Milano 06 Settembre 2025

 

 

 

 

 

La Redazione 

Milano si crede Amazon del carbonio: il paradosso del nuovo San Siro

 

 Milano una città che ci fa credere di essere GREEN

 

 

Milano è una delle città più inquinate d’Europa: polveri sottili a livelli record, smog che entra nei polmoni come ospite fisso, e una giungla di auto e cantieri che non lascia respirare. Eppure, davanti alla demolizione di San Siro, il Comune sembra avere trovato la bacchetta magica: i crediti di carbonio.

A supporto di questa iniziativa dei Club si è accorto anche il Regionale di RAI 3 Lombardia andato in onda ieri sera alle 19:30 e che potete visione qui di seguito: 


Sì, avete sentito bene. Inter e Milan vorrebbero abbattere lo stadio  di San Siro e ricostruirlo nuovo di zecca, bruciando nell’operazione circa 210mila tonnellate di CO₂. Un disastro climatico da manuale. Ma tranquilli, tutto risolto: basta “comprare” crediti verdi e il gioco è fatto. È come farsi una grigliata di carne tutte le sere e pensare di diventare vegani piantando un basilico sul balcone.

Il Comune che fa carbon washing

Il problema non è solo dei club. Se Milano accettasse questa operazione, diventerebbe la prima amministrazione pubblica al mondo a usare i crediti di carbonio. Non più le multinazionali che devono ripulire la propria immagine, ma un Comune che si comporta come una startup della Silicon Valley. Solo che qui non si vendono gadget tecnologici, ma il futuro ambientale di una città già soffocata.

E mentre i rendering mostrano stadi futuristici circondati dal verde, i numeri sono impietosi: i famosi “11 ettari” di parco compenserebbero appena il 5% delle emissioni prodotte dal cemento.
Per assorbire davvero tutto, servirebbe il 74% degli alberi piantati finora dal progetto ForestaMI. Quattro anni di fatica vanificati in un colpo solo, per giustificare l’abbattimento di un monumento del calcio.

Greenwashing da Champions League

Il paradosso è clamoroso: Milano, città soffocata dallo smog, si candida a diventare la capitale mondiale del greenwashing istituzionale. Lo slogan potrebbe essere: “Abbattiamo lo stadio, ma lo facciamo in modo sostenibile”. È un po’ come dire: “Inquino, ma con stile”.

La scelta che pesa sui polmoni (non solo sulle casse)

Alla fine non è una questione di nostalgia per San Siro, ma di buon senso. Demolire e ricostruire significa emettere CO₂ a livelli insostenibili, in una città che dovrebbe invece ridurre drasticamente le proprie emissioni.

Il Comune ha due strade davanti: farsi ricordare come il primo ente pubblico che ha usato i crediti di carbonio per abbattere un pezzo di storia, o come l’amministrazione che ha avuto il coraggio di dire “no” a un’operazione climatica insensata.

Per evitare questa calamità il consigliere Enrico Fedrighini e altri  hanno proposto al consiglio di Palazzo Marino un ordine del giorno che ha il seguente oggetto:  ORDINE DEL GIORNO A FIRMA DEL CONSIGLIERE FEDRIGHINI E ALTRI AVENTE AD OGGETTO NON UTILIZZABILITÀ DEI CREDITI DI CARBONIO COME MISURA COMPENSATIVA NEGLI INTERVENTI DI RIGENERAZIONE TRASFORMAZIONE URBANA

A tale riguardo vi consigliamo di visionare con attenzione l' intervento Paolo Pileri  (Professore di Progettazione e Pianificazione Urbanistica Politecnico di Milano) fatto durante il DIBATTITO PUBBLICO (Novembre 2022) che accerta le problematiche causate dall' abbattimento di San Siro e la sua ricostruzione in termini d'inquinamento generale (polveri sottili) e in particolare di CO2:
  

 
E il relativo documento Demolire San Siro vuol dire ferire gravemente il clima edito su altreconomia.it.

Perché Milano non ha bisogno di travestirsi da Amazon del carbonio.

Ha bisogno di respirare e come dice Paolo Pileri: i decisori (I Club, Il Sindaco, gli Assessori e i Consiglieri di Palazzo Marino) saggiamente, farebbero bene a rinunciare a certe opere sbilanciate dal punto di vista climatico: non possiamo più permettercele.
Teniamoci ben stretto San Siro.

 

 

 

 

Milano 29 Agosto 2025

 

 

 

 

La Redazione

 

Delibere, targhe e vincoli: il muro contro cui sbatte la vendita del Meazza

San Siro I vincoli

 

Il sindaco Beppe Sala ha dichiarato con forza la volontà di chiudere entro il 10 novembre 2025 la vendita dello stadio di San Siro a Inter e Milan, facendo leva sulla maggioranza politica che lo sostiene in Consiglio comunale.
Una spinta determinata, che mira ad effettuare il ROGITO prima del 10 Novembre 2025, data in cui il secondo anello verà vincolato. Il sindaco da per scontato che il trasferimento dello storico impianto come un passaggio ormai a portata di mano.

Eppure, dietro questa apparente linearità politica, si nasconde una realtà molto più complessa.
La strada verso la vendita del Meazza non è una corsa libera, ma un vero e proprio percorso a ostacoli, fatto di vincoli giuridici, culturali e storici che difficilmente possono essere aggirati.

Dalla delibera comunale del 2000 che dichiara lo stadio “bene pubblico indisponibile”, al nodo del vincolo dei 70 anni ancora in discussione, fino alle 27 targhe commemorative considerate “archivio pubblico esposto” e all’ombra del vincolo storico-relazionale che potrebbe investire l’intero impianto, ogni passaggio rischia di trasformarsi in un freno quasi insormontabile.

Questo articolo ricostruisce in modo chiaro e documentato i principali ostacoli che mettono in discussione la possibilità di procedere davvero alla vendita di San Siro indipendentementa dalla eventuale votazione di Palazzo Marino.
L'articolo, vista la complessità dell' argomento  offre al lettore una visione completa delle criticità giuridiche, politiche e culturali in gioco. Vedi anche: 

 

1. La delibera di Palazzo Marino (16 giugno 2000)

C’è un ostacolo giuridico e politico di cui si parla poco: la delibera della Giunta comunale del 16 giugno 2000.
Quel documento, tuttora valido, dichiara San Siro bene pubblico e parte del patrimonio indisponibile del Comune, destinato «alla partecipazione della cittadinanza alle manifestazioni calcistiche più prestigiose».

In sostanza: lo stadio può essere concesso in uso, ma non venduto, se non cessano le funzioni sportive o se non viene garantito l’interesse pubblico. Nulla di tutto ciò è accaduto, eppure il Comune ha già avviato trattative con i club, stimato il valore di vendita e perfino ipotizzato una demolizione da 52 milioni di euro.

Per vendere davvero il Meazza servono due passaggi politici decisivi:

  • rimuovere formalmente il vincolo di “indisponibilità” con una nuova delibera;
  • approvare con votazione (maggioranza di 25 voti) per il trasferimento del bene.

                                                                RIFERIMENTI LEGALI

Impatto sulla delibera di vendita

Finché lo stadio resta nel patrimonio indisponibile, la vendita è giuridicamente preclusa. Le trattative economiche, le stime o l’ipotesi di demolizione (es. 52 milioni citati nel testo) non bastano e rischiano di essere impugnabili se non precedute dagli atti dovuti.

Base normativa

  • Codice civile: artt. 826–828 (beni demaniali/indisponibili, inalienabilità finché dura la destinazione).
  • TUEL (D.Lgs. 267/2000), art. 42 (competenza consiliare su atti fondamentali).
  • D.L. 112/2008, art. 58 (Piano delle alienazioni e valorizzazioni – PAV), utile nella fase successiva alla sclassifica.

Impatto sulla delibera di vendita

Finché lo stadio resta nel patrimonio indisponibile, la vendita è giuridicamente preclusa.
Le trattative economiche, le stime o l’ipotesi di demolizione (es. 52 milioni citati nel testo) non bastano e rischiano di essere impugnabili se non precedute dagli atti dovuti.

Sintesi: senza sclassifica + delibera di alienazione, la vendita non è attuabile.

2. Quando scatta il vincolo dei Beni culturali?

Qui il nodo è tecnico: da quando il Meazza è sottoponibile a vincolo storico-architettonico?

La differenza è cruciale: secondo il Codice dei beni culturali, il vincolo decorre dal momento in cui l’opera ha assunto forma definitiva e fruibile, non dalla burocrazia successiva. Quindi, tutto porta all’11 settembre 1955.

Palazzo Marino però sostiene la seconda ipotesi (10 novembre).
Ma la decisione non spetta al Comune: è competenza della Soprintendenza e, in ultima istanza, dei giudici amministrativi (TAR e Consiglio di Stato).

                                                               RIFERIMENTI LEGALI

Criterio giuridico rilevante

Secondo il Codice dei beni culturali (D.Lgs. 42/2004, artt. 10–13), la tutela può dipendere dall’interesse culturale e, per i beni di architettura contemporanea, dal decorso del tempo riferito al completamento dell’opera nella sua forma architettonica riconoscibile e fruibile.
Ne discende che la constatazione materiale (verbale con fruibilità pubblica) è spesso più dirimente del mero “atto di compilazione amministrativa”.

Competenza decisionale

  • Soprintendenza ABAP territorialmente competente, sotto il coordinamento del MiC.
  • In caso di contestazione: TAR e, in ultima istanza, Consiglio di Stato.

3. Le 27 targhe di Inter e Milan

C’è poi un ostacolo “sentimentale” ma giuridicamente ancora più spinoso.
Sulla tribuna rossa, tra gli ingressi 226 e 228, campeggiano 27 targhe commemorative: 18 del Milan e 9 dell’Inter, che celebrano i trofei internazionali vinti dai due club. Una tradizione iniziata nel 1963 con la prima Coppa dei Campioni rossonera e interrotta nel 2010 con il Mondiale per Club nerazzurro.

A queste si aggiunge la targa del 1980 con cui il Comune dedicò ufficialmente lo stadio a Giuseppe Meazza.

Secondo la Soprintendenza archivistica e alcuni ricorsi legali, quell’insieme costituisce un «archivio pubblico esposto»: cioè un sistema organizzato di documenti visibili e parte integrante del patrimonio culturale. Per legge, un archivio pubblico non può essere né distrutto, né spostato, né alienato.

Tradotto: anche solo le targhe bloccano l’ipotesi di demolizione o di vendita “senza vincoli”.

                                                                  RIFERIMENTI LEGALI

 Impatto sulla delibera di vendita

  • Le targhe non possono essere distrutte, smembrate o alienate separatamente.
  • Eventuali progetti di demolizione o di rimozione/ricollocazione urtano contro la tutela archivistica/culturale → alto rischio di stop o ricorso.


4. Il vincolo storico-relazionale

Infine, il più ampio e forse più insormontabile: il vincolo storico-relazionale, che riguarda l’intera struttura, terzo anello incluso. Finora la Soprintendenza ha esitato a riconoscerlo, ma la Commissione regionale ne sollecita l’applicazione.

Se scattasse, San Siro diverrebbe di fatto intangibile, rendendo qualsiasi progetto di vendita o abbattimento ancora più complicato. 

                                                              RIFERIMENTI LEGALI 

Impatto sulla delibera di vendita

  • Un vincolo esteso all’insieme relazionale rende lo stadio un unicum non frazionabile: forti limiti a demolizioni, riconfigurazioni e cambi d’uso.
  • Aumenta oneri, tempi, incertezza procedurale e rischio contenzioso.

 

 5. Conclusione

Per deliberare la vendita dello Stadio di San Siro, il Comune deve superare:

  1. un vincolo giuridico-politico (delibera del 2000);
  2. un nodo interpretativo sul vincolo dei 70 anni;
  3. la tutela delle targhe considerate archivio pubblico;
  4. il possibile riconoscimento del vincolo storico-relazionale sull’intero impianto.

La vendita del Meazza non è solo una questione di soldi o di trattative con Inter e Milan. Ci sono paletti politici, giuridici e culturali che trasformano l’operazione in un percorso a ostacoli, in cui ogni passo può essere fermato da delibere, ricorsi o vincoli di tutela.

Per facilità di lettura abbiamo preparato una tabella comparativa sugli ostacoli alla vendita dello stadio di San Siro a Inter e Milan

  

Tabella Comparativa

 

 

 

 

 

Milano  24 Agosto 2025

 

 

 

 

La Redazione 

 

San Siro in svendita, a Palazzo Marino Sala può portarla a casa.

Beppe Sala Svende San Siro

 

La vendita di San Siro che sarà deliberata dal Consiglio Comunale nelle prime 2 settimane di Settembre sembra una partita già chiusa, almeno sulla carta.
Ma quei conti fatti col pallottoliere hanno più incertezze che sicurezze.

Prima Considerazione: "le presenze fantasma".


Il calcolo parte da un’ipotesi irrealistica: che tutti i consiglieri, di maggioranza e opposizione, si presentino in aula e votino.
In realtà a Palazzo Marino basta un raffreddore improvviso, una “riunione urgente” o semplicemente la voglia di non esserci, e il quorum dei 25 si abbassa. In quel caso la svendita del Meazza passerebbe senza troppi patemi.

Seconda Considerazione: gli “oppositori collaborativi”.

Si dà per scontato che tutta l’opposizione voti compatta contro. Ma se qualcuno decidesse di dare una mano a Sala, magari per calcolo politico o convenienza, la partita sarebbe già finita: gol facile a porta vuota.

Terza Considerazione: "la maggioranza col fiatone".


Dentro la coalizione di Sala i numeri sono al limite. Ci sono già sei no sicuri: tre Verdi (Gorini, Cucchiara e Monguzzi), due del Pd (Giungi e Pantaleo) e Fedrighini dal gruppo misto. Questo porta il centrosinistra a quota 25, giusto giusto la soglia minima, che diventa 26 solo col voto del sindaco.
Ma qui la matematica non è un’opinione: basta un altro no – ad esempio dall’incerto Marco Fumagalli, pure lui della Lista Sala – e l’intera operazione dovrà i  fare i conti con la Prima  Considerazione e Seconda Considerazione.

In sintesi, i numeri della “maggioranza sicura” sono in realtà una scommessa azzardata su tre variabili fuori controllo: presenze, franchi tiratori dall’opposizione e fragilità interna.

Così il futuro di San Siro non dipende da grandi visioni urbanistiche o piani strategici, ma dal caso: chi si alza quella mattina col piede giusto, chi decide di disertare l’aula per abbassare il quorum, chi cambia idea all’ultimo minuto.

Dunque, Sala riuscirà a svendere il Meazza? 

Le nostre previsioni, ad oggi dicono di SI: i numeri attuali, sembrano esserci e la maggioranza, al momento può anche fare a meno dell’opposizione.
A dare una mano al Sindaco, più che la politica, sarà il grande alleato di sempre: l’assenteismo strategico. Perché a Palazzo Marino basta qualche sedia vuota al momento giusto e il quorum si abbassa come per magia, spianando la strada al “liquidatore” del Meazza.
E se i conti non dovessero tornare, nessun problema: c’è sempre l’ipotesi che qualche oppositore “cambi casacca” o cambi idea all’ultimo minuto, garantendo a Sala il gol a porta vuota.
A meno che INTERVENGA LA PROCURA in quanto,  la vera incognita per il Sindaco NON è LA POLITICA ma  LA PROCURA.

Perché nelle carte della procura San Siro ha già il suo capitolo, e non si esclude che presto si arricchisca di nuovi episodi. 

Altro che stadio: qui rischiamo la sceneggiatura di una nuova serie giudiziaria made in Milano                      

 

 

 

 

 

 

Milano 22 Agosto 2025

 

 

 

 

 

 

La Redazione

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